5 Febbraio 2025 - Depressione
- Vivere a vista
- 5 feb
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 11 feb
Questa è una giornata no.
Mi sento apatico, distante dal mondo. In realtà è da giorni che va avanti così. Sono in balìa degli eventi, senza la forza di reagire ai fatti della vita. Sono particolarmente depresso. Il termine “depressione” viene comunemente usato per indicare uno stato di tristezza: la persona depressa è vista come un essere malinconico, che vede il bicchiere mezzo vuoto e che non è in grado di gioire per quanto di bello la vita può offrire.
Non è così.
I sintomi della depressione non sono necessariamente tristezza o disperazione. Per quel che mi riguarda, il segno che la contraddistingue è l’indifferenza. Il mondo mi attraversa, mi scivola addosso come se fossi ricoperto di pece. L’esistenza non è in grado di penetrare questa scorza, al cui interno è celata una carne molle e lassa.
Vivo con un senso di sonnolenza costante, le palpebre sono pesanti e gli occhi infiammati. Rifiuto l’idea di muovermi e di interagire con le altre persone. Il cellulare si riempie di messaggi che non guardo. Perdo interesse per qualsiasi azione abbia intrapreso e faccio fatica ad approfondire i ricordi che affiorano nella memoria.
Scrivere è difficile e mi riesce, in parte, quando descrivo il momento presente. Ma basta un niente per farmi distogliere lo sguardo dallo schermo. La mente vaga senza una meta, osserva gli oggetti che la circondano senza dargli alcun significato. Si limita a recepire le informazioni sensoriali degli occhi, delle orecchie e del tatto, ma non le elabora.

Il tempo passa ed è pomeriggio inoltrato. Solo ora la coscienza ha un guizzo e mi giudica: “Non hai fatto niente, sei un fannullone! Ma non ti vergogni?”, sono le sue parole. Sì, mi vergogno, e per farti piacere mi sento pure in colpa.
Poi penso a come sta il mio fisico, a come basti poco per sentirmi in affanno. Mi chiedo quanto il mio stato di salute condizioni il mio umore e viceversa. È tutto interconnesso, ma non so fino a che punto. Più ci rifletto, più mi sento crescere un senso di vuoto nello stomaco, perché a tale domanda non c’è risposta.
Questo buco nello stomaco richiama altri pensieri, nessuno di questi è felice. Vedo il volto di Paola, le sue espressioni nei momenti vissuti insieme. L’amarezza di non godere più della sua compagnia mi assale. Provo ad arginare queste visioni elencando le sue debolezze caratteriali: il suo timore del giudizio altrui, la sua paura dei cani, il tenermi nascosto ad amici e famiglia. Sono considerazioni più che corrette, e dovrebbe bastare per comprendere che il suo allontanamento sia stato un bene.
Ma allora perché ritornano sempre a galla? Perché, a distanza di due anni, la tristezza è forte come quando mi scrisse il messaggio di addio?
Ho superato tutte le delusioni, me le sono spiegate e mi sono dato un perché. Ma con Paola questo non accade. È un fantasma che mi perseguita e che si alimenta dei miei sentimenti.



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